Grazie di tutto

Il 2021 è stato un anno importante per la Svizzera dal punto di vista politico-democratico. Con eventi, analisi, discussioni, mostre, film e pubblicazioni, è stato possibile dimostrare l’importanza e l’attualità di una riflessione sulla nostra democrazia.

L’enorme svantaggio delle donne svizzere prive del diritto di voto fino a relativamente poco tempo fa è stato messo in evidenza, così come sono stati esaminati l’impatto e il significato del suffragio femminile per le dirette interessate e per l’intero paese. Le conseguenze di 123 anni di esclusione dalla vita democratica e di una partecipazione tardiva alla vita politica svizzera sono lungi dall’essere interamente riconosciute, capite e affrontate. Ciò nonostante, sono stati fatti i primi passi nella giusta direzione.

Una cosa è chiara: la Svizzera non può fregiarsi del titolo di culla della democrazia o di più antica democrazia del mondo quando fino al 1971 è stata in realtà un’androcrazia. Le nostre istituzioni democratiche non possono essere considerate esenti dalle questioni di genere. Non dobbiamo mai cessare di riflettere su chi siano le cittadine e i cittadini, una domanda che mi consente di collegarmi con l’evento che personalmente ritengo il più significativo del 2021: la seconda Sessione delle donne a Palazzo federale a Berna. 246 elette da tutte le regioni della Svizzera hanno presentato 23 petizioni alle Commissioni legislative del Parlamento federale. È stata approvata quasi all’unanimità una mozione che chiede di estendere il diritto di voto e di eleggibilità a chiunque viva in Svizzera da almeno cinque anni, indipendentemente dallo statuto. Questo è ciò che chiamo avere una visione chiara del futuro. Seguendo i dibattiti dalla tribuna, sono rimasta colpita da come le donne si siano basate sulla loro esperienza personale di esclusione per dimostrare quanto sia giusto e ragionevole per tutti – individui e società – ridefinire il concetto di partecipazione democratica. Sono curiosa di vedere i prossimi passi del Parlamento in merito.

In qualità di Presidente dell’associazione CH2021, ringrazio di cuore tutte e tutti coloro che hanno contribuito a rendere questo anniversario una pietra miliare della nostra democrazia, la cui importanza è considerata con rinnovata consapevolezza in tutte le regioni del paese, nei vari ambienti sociali e nelle più disparate organizzazioni.

Il nostro Comitato ha redatto il manifesto «Avanti tutta!», premessa e motivazione per andare avanti. Ogni voto conta. Fate sentire la vostra voce, partecipate al dibattito, portate le vostre idee nel mondo.

Cari saluti
Zita Küng

L’imposizione individuale promuove la parità di trattamento

Nella nostra Costituzione è ancorato il principio dell’imposizione basata sulla capacità economica. Attualmente la capacità finanziaria individuale delle coppie sposate o che vivono in unione domestica registrata viene calcolata differentemente da quella delle coppie di concubini e delle persone sole. Il sistema fiscale attuale può comportare uno svantaggio per le coppie tassate congiuntamente, perché devono pagare più imposte rispetto ad una coppia paragonabile di concubini. Questo accade soprattutto quando ambedue i partner svolgono un’attività lucrativa. L’imposizione individuale eliminerebbe finalmente gli svantaggi fiscali delle coppie tassate congiuntamente.

Lo stato civile di una persona non deve più avere un influsso sull’imposizione fiscale. Questo è uno degli obiettivi dell’iniziativa popolare “Per un imposizione individuale a prescindere dallo stato civile (iniziativa per imposte eque)” che è stata presentata a Berna l’8 marzo 2021 in occasione della Giornata internazionale dei diritti della donna. Le donne del PLR hanno unito le loro forze a quelle di altri alleati della politica, dell’economia e della società per costruire un sistema fiscale più equo, porre rimedio agli effetti negativi sull’economia e per promuovere la parità di trattamento.

Nel sistema fiscale attuale sono soprattutto le donne a non rientrare nel mondo del lavoro dopo il congedo di maternità. A causa di una progressione fiscale più alta e dei costi aggiuntivi per la cura dei figli, molte donne sposate riducono il loro impegno nel mondo del lavoro o sono costrette a rinunciare completamente alla loro attività lavorativa.

Di conseguenza la formazione e la preziosa esperienza professionale di queste donne non sono più disponibili per l’economia. Un cambiamento del sistema di tassazione non solo eliminerebbe un’ingiustizia, ma aiuterebbe anche a contrastare la carenza di professionisti qualificati che esiste da molti anni. Inoltre, coloro che non fanno parte del mondo del lavoro per un periodo prolungato, non hanno quasi più possibilità di fare carriera. L’imposizione individuale vuole dare impulsi fiscali necessari per svolgere un’attività lucrativa e per garantire pari opportunità nel mondo del lavoro.

L’iniziativa presenta vantaggi anche per il finanziamento dei nostri servizi sociali. Se più persone lavorano e pagano contributi, ciò contribuisce a garantire la sicurezza sociale.

L’iniziativa è molto attuale, perché le donne e gli uomini del nostro Paese dovrebbero poter scegliere liberamente in quale modello familiare vivere e come organizzare l’attività lavorativa per guadagnarsi da vivere e mantenere e curare la propria famiglia, senza essere penalizzati fiscalmente. Anche il modello ormai obsoleto della famiglia, in cui l’uomo è il capofamiglia che porta i soldi a casa e la donna è al centro delle attività domestiche, dovrebbe essere abolito nel diritto fiscale.

Già nel 2016 la popolazione svizzera ha votato un’iniziativa per abolire la penalizzazione del matrimonio, ma l’ha respinta. L’iniziativa era stata criticata in campagna di votazione perché ritenuta troppo incentrata sul matrimonio. Avrebbe inoltre reso impossibile l’introduzione dell’imposizione individuale.

A 50 anni dall’introduzione del suffragio femminile, è veramente giunta l’ora di avere un sistema fiscale più semplice, più trasparente e uguale per tutti, a prescindere dallo stato civile, dal modello familiare e dall’attività lavorativa delle persone.

Anna Giacometti, consigliera nazionale PLR e membro del comitato d’iniziativa imposizione individuale

Insieme per una società senza violenza e all’insegna dell’uguaglianza

Il 25 novembre iniziano i «16 giorni contro la violenza sulle donne», da 14 anni la campagna di prevenzione in Svizzera si impegna a favore di una società non violenta e sostiene un confronto sul tema, che è una componente fondamentale della prevenzione della violenza.

La violenza sulle donne ha molteplici sfaccettature. Viene perpetrata a tutti i livelli della società, in luoghi e ambienti diversi tra loro: a casa, nelle relazioni di coppia, in famiglia, a scuola o durante il percorso di formazione, sul posto di lavoro, nei luoghi pubblici, nelle istituzioni o online. La violenza sulle donne ha una notevole portata, per limitarla è necessario un approccio completo. Un elemento chiave sono gli strumenti finanziari e le risorse che non possono mancare per offerte di qualità relativamente a prevenzione, consulenza, tutela nonché un sostegno psicologico agli autori delle violenze. La Svizzera ha bisogno di più posti protetti per donne e ragazze che subiscono violenza. Le vittime devono essere accompagnate in maniera competente e con tatto. La Svizzera può già contare su un importante strumento di diritto internazionale per la prevenzione della violenza: la Convenzione di Istanbul, l’Accordo del Consiglio d’Europa per la lotta e la prevenzione della violenza sulle donne e la violenza domestica è in vigore dal 2018 e deve ora essere coerentemente applicato.

Ma la portata del nostro pensiero deve essere ancora più ampia, perché la violenza specifica di genere è strettamente interconnessa con pari opportunità non sufficienti. Per questo la lotta alla violenza è un impegno che viene richiesto a tutta la società. Proprio in Svizzera, dove le donne solamente da 50 anni hanno diritto alla partecipazione politica, nel 2021 c’è ancora molto da fare, le donne vengono ancor oggi sminuite a causa di pregiudizi stereotipati. Il sessismo e la mercificazione del corpo femminile sono parte della quotidianità, si tratta di terreno fertile per la violenza contro le donne. Proprio su questo dobbiamo lavorare.

Stop alla violenza sessuale

La campagna di prevenzione «16 giorni contro la violenza sulle donne» viene coordinata dall’Organizzazione Femminista per la Pace (cfd). Tra il 25 novembre e il 10 dicembre oltre 150 organizzazioni realizzeranno più di 120 eventi. Durante le 16 giornate d’azione la violenza sulle donne sarà il tema di tavole rotonde, eventi teatrali, corsi di difesa personale, workshop o manifestazioni di strada.

Le giornate d’azione hanno ogni hanno un diverso focus, quello del 2021 è la violenza sessuale. In Svizzera almeno una donna su due ha sperimentato una forma di violenza sessuale[1]. Solamente l’8% delle donne che hanno subito un abuso lo ha anche denunciato[2]. I procedimenti penali si concludono nel 75% dei casi con l’assoluzione[3]. Ciò dimostra in maniera esemplare che è necessaria l’interazione di diversi aspetti per impedire la violenza. Quindi il nostro diritto penale sessuale deve essere rivisto secondo la massima: solo sì significa sì. Gli atti sessuali in caso di mancato consenso devono essere riconosciuti come una violenza e parimenti trattati. Anche una violenza dell’autodeterminazione sessuale è una violenza. Ma non è sufficiente il solo adeguamento del diritto penale sessuale, le forze di polizia devono essere formate su come relazionarsi con le vittime di violenza sessuale o di genere, in modo da gestire gli interrogatori con discrezione. Chi subisce violenza deve conoscere i centri di consulenza per le vittime e poter ricevere un supporto adeguato. Ma c’è di più. È necessaria un’ampia campagna di prevenzione a livello nazionale. Dobbiamo inoltre parlare di consenso e violenza in famiglia, tra amici, a scuola. Solamente così è possibile impedire la violenza sessuale. Tutti noi ne siamo responsabili. Impegniamoci tutti a favore di una società senza violenza e all’insegna dell’uguaglianza.

Sull’autrice

Anna-Béatrice Schmaltz lavora presso l’Organizzazione Femminista per la Pace (cfd) come responsabile del progetto per la prevenzione della violenza e coordina i «16 giorni contro la violenza sulle donne». Ha conseguito un master in Scienze dei servizi sociali ed è un’attivista femminista.

Per maggiori informazioni sulle 16 giornate d’azione. 16tage.ch

[1] Studio «sexuelle Gewalt» (Violenza sessuale), 2019. Gfs.bern. https://www.amnesty.ch/fr/themes/droits-des-femmes/violence-sexuelle/docs/2019/violences-sexuelles-en-suisse/sexuelle_gewalt_amnesty_international_gfs-bericht.pdf

[2] https://cockpit.gfsbern.ch/de/cockpit/sexuelle-gewalt-in-der-schweiz/

[3] https://www.tagesanzeiger.ch/beschuldigten-vergewaltigern-drohen-in-zuerich-kaum-konsequenzen-539945354487

Un primo approccio alla parità

Dovendo scrivere un lavoro di maturità riguardante le quote di genere in politica e nei consigli di amministrazione, mi sono finalmente approcciato e interessato al tema della parità e delle lotte femminili, restandone, in un primo momento, fortemente amareggiato.

Infatti, con una basilare ricerca, si scopre immediatamente che, malgrado le lotte femminili del XX secolo, che hanno influenzato positivamente il ruolo delle donne a livello sociale ed economico portando, nel mondo occidentale, maggiori diritti e un divario meno ampio tra i sessi, risulta chiaro che un’effettiva parità non è ancora stata raggiunta ed il divario tra donne e uomini si dimostra difficile da eliminare. Oltre a ciò, ci si rende subito conto che le donne sono universalmente sottorappresentate: non solo nei parlamenti e nelle assemblee, negli esecutivi, nei partiti, nei consigli di amministrazione delle aziende, nell’amministrazione pubblica, nella finanza, nelle corti di giustizia e nei tribunali, ma anche nello sport, nei media, nella scienza, nella ricerca e nell’istruzione.  Inoltre, gli indicatori che misurano la discriminazione femminile e la parità di genere (Gender Equality Index, Global Gender Gap Index, Glass-ceiling index,…) mostrano che molti paesi sono ancora molto lontani dalla parità di genere e fortemente soggetti alla segregazione occupazionale verticale e orizzontale di genere. Per citarne uno: la Svizzera.

In Svizzera, infatti, gli stereotipi di genere sono profondamente radicati e attecchiti nel tessuto sociale, risultando difficilmente estirpabili e svolgendo un ruolo fondamentale nella discriminazione di genere. Come dice giustamente la professoressa Paola Profeta: «la cultura di genere cattura il punto di vista sul ruolo delle donne e degli uomini nella società, sulle loro responsabilità in famiglia e sulla loro posizione nel mercato del lavoro»[1].

Ma con una semplice ricerca, ad accompagnare questi crudi dati, si trovano anche le pubblicazioni di innumerevoli associazioni, sparse in tutto il mondo, che si impegnano nel raggiungimento dell’uguaglianza di genere e nell’emancipazione di tutte le donne e le ragazze. L’associazione CH2021, per esempio, celebrando il cinquantesimo anniversario del suffragio femminile in Svizzera, offre un’ottima occasione per riflettere sui cambiamenti seguiti alla votazione del 1971: quelli avvenuti e quelli che ancora devono avvenire per raggiungere la parità di fatto nella politica, nella scienza, nella cultura e nella società.

Il tema delle pari opportunità e della parità dei sessi sta finalmente raggiungendo la dovuta visibilità: l’inserimento dell’uguaglianza di genere negli obbiettivi dell’agenda 2030, che dovranno essere realizzati a livello globale da tutti i Paesi membri dell’ONU, ne è la prova. La lotta contro le disparità di genere è quindi diventata una sfida globale, poiché essa costituisce uno dei maggiori ostacoli allo sviluppo sostenibile e alla crescita economica ed ogni Paese del pianeta è chiamato a fornire il suo contributo per raggiungere un’uguaglianza di cui potranno beneficiare le società e l’umanità intera.

I giovani sono lo strumento fondamentale per raggiungere questo grande obbiettivo ed io ripongo quindi tutta la mia fiducia nei miei coetanei e nelle generazioni che seguiranno, poiché ho l’assoluta certezza che la parità di genere è un traguardo che può e deve essere raggiunto.

Edoardo Aostalli,  Liceo Cantonale Mendrisio, classe terza  

[1] P.Profeta, Parità di genere e politiche pubbliche. Misurare il progresso in Europa, Milano 2021

Come valutare mezzo secolo?

Sono passati 50 anni da quando le donne in Svizzera hanno avuto accesso a quello che è per antonomasia il diritto democratico fondamentale. Guardando indietro (per l’ennesima volta dalla metà dello scorso anno) ci chiediamo: a che punto ci troviamo ora?

E nel farlo siamo ben supportati dalle valutazioni che emergono dai dati più facilmente disponibili: le quote rosa negli organismi politici (Derungs et al., 2014, p.60). Nel 2019 sembrava, ad un primo sguardo, di poter trarre un ottimo bilancio. Sia nel Consiglio Nazionale che nel Consiglio degli Stati la percentuale delle parlamentari non era mai stata così elevata (FSPG, 2020). Ma questi numeri sono rappresentativi di tutto quello che è stato fatto in questi 50 anni?

Dati lacunosi

Da un lato possiamo chiederci quanto sia rappresentativo l’iperonimo “Donne”. Perché ad un’analisi più attenta si nota che le esponenti politiche sono in media ben istruite e di poco sotto la cinquantina. Ma qual è la situazione se si considera la partecipazione delle giovani donne? E qual è la partecipazione di coloro che non sono di pelle bianca, non sono accademiche o sono queer, o di chi appartiene a più di una di queste categorie? I dati disponibili non permettono di trarre delle conclusioni certe nemmeno in Svizzera (Derungs et al., 2014, p. 96).

Allo stesso tempo ci si chiede quanto sia significativo guardare alla suddivisione del Parlamento. In fin dei conti le attività parlamentari non rappresentano che una parte della partecipazione politica. Altri aspetti sono stati analizzati sulla base dell’andamento della partecipazione alle votazioni e alle elezioni delle donne, o dell’impegno nell’ambito di movimenti politici non istituzionali (FSPG, 2021b), o del perché le donne nonostante l’interesse e le stesse chance di essere elette si candidano più raramente (FSPG, 2021a).

La partecipazione a prescindere dai numeri

Ma anche a prescindere da queste cifre ci possiamo porre la seguente domanda: come si caratterizza la partecipazione rilevata? Anche negli organismi ad elevata presenza femminile sono gli uomini quelli che prendono tendenzialmente la parola (Beobachter, 2019). Le politiche inoltre sono maggiormente oggetto, anche per la loro partecipazione alla vita pubblica, di attacchi razzisti e sessisti (Republik, 2021). Come percepiscono il proprio ruolo le donne impegnate in politica? Come si trovano nelle strutture in cui lavorano? Anche a tal proposito mancano ancora sondaggi rappresentativi per la Svizzera.

Proprio questo studio sarebbe invece fondamentale per valutare gli ultimi 50 anni. Difatti partendo dal fatto che l’obiettivo del diritto di voto è quello di consentire la partecipazione dei maggiorenni alle decisioni politiche (Küng, 2020), dovremmo orientarci anche su questo nella nostra retrospettiva. Tre sono le tematiche che andrebbero considerare in maniera più dettagliata.

Cosa significa partecipazione?

Per prima cosa sarebbe utile considerare cosa avviene o dovrebbe avvenire prima della partecipazione. Se le donne non si ritrovano (non vogliono ritrovarsi) in un ufficio di milizia, ci dobbiamo chiedere il perché. E se vogliamo incentivare l’attività di milizia, la domanda è come sostenere al meglio potenziali candidat*.

Inoltre dovrebbe essere più chiaro cosa intendiamo con “partecipazione”. Si tratta di un aumento numerico delle quote o ci sono anche delle caratteristiche di tipo qualitativo da tenere in considerazione? Infatti tanto il concetto di base quanto le finalità non sembrano essere chiari quando si parla dei progressi registrati rispetto al 1971.

Come terzo punto vanno definiti i parametri sulla base dei quali valutare gli sviluppi degli ultimi decenni. Alcuni di questi parametri li adottiamo implicitamente quando parliamo di quanti passi avanti sono stati fatti dall’introduzione del suffragio femminile. Ma solamente un confronto esplicito a tal riguardo ci consente di mettere allo scoperto le falle. Quanto prendiamo in considerazione le diverse esperienze che confluiscono in un generico “donna politicamente attiva”? Come valutiamo la partecipazione di quelle persone che non possono essere incasellate semplicemente in una o più categorie? A partire da quando si può definire la partecipazione come completa, basta il 42% del Consiglio Nazionale?

Queste e simili domande sarebbero centrali per la discussione sulla partecipazione politica proprio in quest’anno dell’anniversario.  Ovviamente non esiste una sola e giusta risposta a tutto questo. Ma se non ci poniamo queste domande è difficile effettuare una giusta valutazione.

L’autore

Léonie Hagen presidentessa dello Jugendrat Brig-Glis e Membro del comitato della Federazione Svizzera dei Parlamenti dei Giovani (FSPG).

Bibliografia

Beobachter, 2019. Im Bundeshaus reden Frauen weniger. Le donne parlano di meno nel Palazzo federale)

Derungs, Flurina, Lüthi, Janine, Schnegg, Brigitte, Wenger, Nadine, Ganzfried, Miriam. 2014. Uguaglianza tra donna e uomo. Piano d’azione nazionale: Bilancio 1999-2014. Ufficio federale per l’uguaglianza fra donna e uomo.

FSPG, 2021. Geht der Siegeszug der Frauen durch alle föderalen Ebenen weiter? (La marcia trionfale delle donne è presente a tutti i livelli federali?)

FSPG, 2021. Partizipieren Frauen politisch anders als Männer? (La partecipazione politica delle donne è diversa da quella degli uomini?)

FSPG, 2020. Das Parlament 2019–2023 – repräsentativ für die Jugend? (Il parlamento 2019-2023: rappresenta i giovani?)

Küng, Zita. 2020. Pensare alla democrazia. CH2021.

Republik, 2021. Aber wehe, sie machen den Mund auf. (Guai se aprono bocca)

Campagne #NCCRWomen

Quel rôle jouent les femmes dans la recherche scientifique en Suisse ? À l’occasion du 50ème anniversaire du droit de vote et d’éligibilité des femmes en Suisse, les Pôles de Recherche Nationaux suisses ont uni leurs forces pour une campagne vidéo soulignant l’importance des femmes dans le paysage de la recherche suisse.  

Un Pôle de Recherche National, ou PRN, est un instrument de financement du Fonds National Suisse de la recherche scientifique destiné à mettre en place un réseau de recherche composé de scientifiques basés en Suisse qui travaillent ensemble pour résoudre un problème ou une question. Actuellement, 22 PRN s’intéressent à presque tous les sujets imaginables : de la physique quantique ou de l’utilisation de robots pour une architecture plus durable aux causes physiologiques des maladies mentales ou à l’origine et à l’évolution des planètes. Il y a 50 ans, les femmes ne représentaient qu’une infime minorité dans la recherche : seulement 1 % des femmes étaient titulaires d’un diplôme universitaire en Suisse (Ein Portrait der Schweiz : Ergebnisse aus den Volkszählungen 2010-2014). Aujourd’hui encore, la parité entre les sexes est loin d’être atteinte, notamment dans les sciences techniques et de l’ingénieur, et la proportion de femmes scientifiques diminue au fur et à mesure que l’on monte dans l’échelle hiérarchique. La situation s’est toutefois nettement améliorée au cours des dernières décennies et les femmes jouent aujourd’hui un rôle central dans tous les domaines de la recherche en Suisse.

Les PRN suisses veulent montrer au public que les chercheuses sont actives et essentielles dans tous les domaines de la science. Les femmes sont mathématiciennes, chimistes, ingénieures, biologistes, médecins, sociologues, architectes, linguistes, astronomes… Nous voulons donner envie aux jeunes filles et aux femmes de faire carrière dans la recherche en leur montrant à quoi ressemble le quotidien d’une scientifique et en leur faisant partager notre passion pour la recherche.

Du 8 mars, Journée internationale de la femme, au 31 octobre 2021, 50 ans jour pour jour après la première votation fédérale à laquelle les femmes ont pu participer, chaque PRN diffusera une série de vidéos présentant le travail de certaines de ses femmes scientifiques inspirantes.

Les vidéos sont sous-titrées en français, allemand et anglais et sont disponibles sur YouTube et Instagram. 

Vidéos en anglais / Vidéos en allemand :

Je suis vraiment fascinée par le monde de la physique quantique. Il semble si éloigné de notre réalité, et pourtant il en est au cœur.” Chiara Decaroli

N’ayez pas peur d’essayer de nouvelles choses et de vous lancer des défis. Cela ouvre de nouvelles portes et de nouvelles opportunités.” Mahsa Rahimi-Siegrist

Ayant grandi dans une petite ville du Kentucky, je n’aurais jamais pu imaginer devenir une scientifique. Mais j’aime travailler dans un laboratoire depuis le premier jour.” Alyson Hockenberry

Pour moi, cela se résume à la curiosité. Une question mène à la suivante. Essayer d’y répondre est un défi, mais c’est très amusant.” Inés Ariza:

Sciopero delle donne del 14 giugno 2021

Democrazia: avanti tutta!

Cara lettrici, cari lettori
Il 14 giugno è una data importante per la nostra democrazia. Nel 1981, le svizzere e gli svizzeri hanno approvato la controproposta all’iniziativa popolare «Per l’eguaglianza dei diritti tra uomo e donna», consentendo così l’inserimento di questo principio nella Costituzione. Dettaglio significativo: se avessero votato soltanto gli uomini, il principio sarebbe stato respinto.

Dunque sono state soprattutto le donne a battersi per la parità dei diritti. Da allora si continua a richiamare l’attenzione sul fatto che alla parità dei diritti sulla carta deve corrispondere un’uguaglianza effettiva nella vita di tutti i giorni. Ma in questo la nostra società continua ancora oggi ad avere difficoltà.

“Risulta evidente che tante donne (e tanti uomini) sono ancora insoddisfatte di come questo aspetto della democrazia viene attuato.” Zita Küng

Se diamo un’occhiata ai punti in programma per il 14 giugno 2021 in tutta la Svizzera, risulta evidente che tante donne (e tanti uomini) sono ancora insoddisfatte di come questo aspetto della democrazia viene attuato. E sono anche disposte a dimostrarlo pubblicamente e ad avviare un dibattito in merito. Ce n’è bisogno. La nostra Costituzione non deve restare lettera morta, ma deve essere piuttosto un diritto!

Per quale motivo il Comitato dell’associazione CH2021 ha redatto un manifesto il 7 febbraio 2021? Perché, da una parte, è necessario creare consapevolezza sul fatto che il diritto di voto e di eleggibilità per le donne svizzere non è stato ottenuto in automatico tramite noi, ma è il risultato di lotte intraprese da generazioni di donne (e di uomini). Dall’altra parte, perché la gente oggi deve anche sapere quanto sia stato umiliante e denigrante per le donne prima del 1971 vedersi sottrarre questo diritto fondamentale.

Al terzo punto del manifesto viene rivolto il seguente appello: Guardando avanti. Appello all’azione! «Avanti Tutta!».Chiediamo al Consiglio federale di programmare una giornata nella prossima sessione per riconoscere questa ingiustizia e le conseguenze derivate dalla negazione del diritto di voto alle donne. L’obiettivo è di fare tesoro delle mancanze identificate per formulare un piano d’azione vincolante negli obiettivi e nei tempi, volto al raggiungimento della parità giuridica e di fatto. È necessario che la conoscenza e la consapevolezza acquisite rendano l’Assemblea federale, il Governo, l’opinione pubblica e, soprattutto, l’elettorato, coscienti della responsabilità collettiva nel modellare le condizioni sociali necessarie per superare ogni forma di discriminazione.

I responsabili e l’intero popolo sono chiamati a prendere seriamente queste richieste.

Per il 14 giugno 2021, auguriamo pertanto buona manifestazione a tutte le donne attive e tutti gli uomini attivi!

Zita Küng, presidente associazione CH2021

Cinquantième anniversaire du droit de vote des femmes en Suisse

L’Irish Business Network (IBN) Switzerland est un réseau de professionnels qui résident et/ou travaillent en Suisse, de nationalité irlandaise ou ayant un lien avec l’Irlande.

Le 4 mars 2021 s’est tenu un débat intellectuellement stimulant au cours de la conférence organisée par l’Irish Business Network, en présence d’un remarquable groupe d’intervenantes: Zita Küng, présidente de CH2021, première directrice du Bureau de l’égalité de la ville de Zurich; Alkistis Petropaki, directrice de WeAdvance; Marialuisa Parodi, présidente de FAFTPlus au Tessin et Tabi Haller-Jorden, ancienne directrice de Catalyst Europe et présidente-directrice générale de The Paradigm Forum. Ces expertes se sont penchées sur le cinquantième anniversaire du droit de vote des femmes au niveau fédéral suisse, récemment célébré, et ont partagé leur vaste expérience avec leur auditoire.

Ce débat a retracé l’histoire de ce vote et le long chemin parcouru pour parvenir à l’égalité, un chemin dont l’horizon demeure encore très lointain aujourd’hui. Pour mieux appréhender la situation actuelle, la coprésidente de l’IBN, Geraldine O’Grady, a ensuite commenté le débat et évoqué «l’oppression intériorisée» des femmes en Suisse, qui lui a rappelé ce que certains historiens appellent «l’impuissance apprise» dont souffraient les paysans irlandais pauvres à l’époque de la famine. Ce qui fut une véritable tragédie pour l’Irlande l’est-il également pour la Suisse et les Suissesses encore aujourd’hui?

Infrastructure et obstacles

Un échange sur la situation actuelle, les obstacles au progrès et la nécessité d’une évolution de la culture et des mentalités a amorcé le débat. C’est avec consternation que la rareté des participants masculins à cet événement a été constatée, car il est avéré que les problèmes liés à l’égalité des sexes ne sont pas des problèmes «de femmes», mais affectent négativement l’ensemble des membres de la société – ici comme ailleurs.

Les problèmes infrastructurels de la Suisse, tels que les emplois du temps scolaires fragmentés, le manque de crèches, les idées préconçues sur la place des femmes dans la société et le nombre de femmes travaillant à temps partiel – le plus élevé de l’OCDE – ont été abordés au cours du débat. Si le travail à temps partiel semble être une solution satisfaisante à court terme pour pallier ces infrastructures scolaires et ces crèches peu accommodantes, le nombre de femmes ne disposant pas de ressources financières suffisantes à l’âge de la retraite est inacceptable, la féminisation de la pauvreté étant un problème bien réel.

Indépendance financière

L’indépendance et la sécurité financières ont été abordées, soulignant l’importance pour les femmes d’être financièrement responsables de leur propre bien-être. On apprend ainsi qu’aux États-Unis, si près de 30% des femmes âgées de 18 à 35 ans gagnent plus que leur partenaire, un changement intervient (probablement) à la naissance des enfants. C’est à ce stade que les obstacles et les choix cornéliens deviennent la norme. Cette situation a abouti et continue d’aboutir à une profonde dépendance des femmes vis-à-vis de leur partenaire, d’où la nécessité d’éduquer les jeunes à la responsabilité financière, et ce le plus tôt possible.

Faire évoluer les esprits et les mentalités

Comment faire évoluer les mentalités d’une société pour garantir l’égalité de traitement et des chances? La croyance selon laquelle les enfants souffrent de la représentation paritaire des femmes doit disparaître de toute urgence. En effet, plusieurs études suisses révèlent une corrélation positive entre la fréquentation de crèches de qualité et les progrès scolaires, comme l’a indiqué Brigid O’Donovan, coprésidente de l’IBN, au cours du débat.

Devons-nous changer nous-mêmes ou changer le système dans lequel nous évoluons? La discussion qui a suivi sur la formation professionnelle et le courage moral nécessaire pour défendre ses intérêts s’est avérée cruciale. L’animatrice de ce débat, Mary Mayenfisch, a insisté sur la nécessité d’une meilleure protection et d’une législation permettant aux voix des personnes faisant preuve de ce courage d’être entendues et protégées. Il est intéressant de noter qu’aujourd’hui encore, la protection des voix dissidentes et des lanceurs d’alerte n’est pas assurée par le droit suisse. Le courage moral est indispensable pour opérer les changements nécessaires à une société, mais la protection juridique des personnes qui appellent à ces changements est également primordiale. Les participants ont ainsi été incités à ne pas se contenter d’attendre que les changements politiques nécessaires se produisent, mais à se demander s’ils incarnent eux-mêmes les valeurs qu’ils défendent en matière d’équité. Tous autant que nous sommes, qu’avons-nous fait pour témoigner de notre attachement à ces objectifs?

Les femmes en politique et dans l’entreprise

La présence nécessaire des femmes en politique a fait l’objet d’un échange, au cours duquel il a été fait référence à deux études récentes menées en Suisse (en version française ci-dessous)[1]. Parmi les questions soulevées, citons le conflit entre activité professionnelle et éducation des enfants, la quantité considérable de travail non rémunéré et sous-estimé effectué par les femmes au bénéfice de la société, et l’augmentation bienvenue du nombre de femmes qui entrent dans l’arène politique.

Dans le domaine professionnel, Alkistis Petropaki a mentionné les travaux menés avec l’Université de Saint-Gall, le Gender Intelligence Report et le Maturity Compass, ainsi que les quatre stades définis par le Gender Maturity.

Les intervenantes ont fait remarquer que la présence d’un plus grand nombre de femmes au sein des conseils d’administration entraîne une augmentation des bénéfices; comme l’a déclaré l’une des intervenantes en citant Viviane Reding, ancienne vice‑présidente de la Commission européenne, «je n’aime pas les quotas, mais j’aime ce qui en résulte». Comme il est clairement démontré que des équipes et des conseils d’administration mixtes assurent de meilleurs bénéfices aux entreprises, on peut légitimement se demander pourquoi les conseils d’administration suisses ne comptent pas plus de femmes.[2]

Qu’en est-il également de la corrélation entre les femmes politiques et les femmes dans l’entreprise? Une alliance pourrait-elle voir le jour en Suisse afin de peser davantage en faveur du changement? De nombreuses multinationales implantées sur le territoire se soucient beaucoup de mixité, d’intégration et d’égalité, mais se rapprochent-elles des politiciens suisses qui luttent pour ces mêmes droits?

Par-delà les frontières suisses, le cas du Rwanda a été évoqué: ce pays compte le plus grand nombre de femmes parlementaires au monde, et son gouvernement est incroyablement efficace. Un exemple à suivre pour la Suisse?

Enfin, la prise en compte des critères environnementaux, sociaux et de gouvernance (ESG) par les entreprises pour améliorer leurs performances et leur gestion, le faible nombre de femmes en Suisse prêtes à s’engager dans des activités entrepreneuriales naissantes (7,3% contre 12,3% d’hommes), la nécessité d’appuyer les femmes plutôt que de les encadrer, le rôle de la sociologie et son importance en matière de progrès, ainsi que la répartition inégale du travail sont autant de thèmes à aborder, mais pour lesquels le temps a malheureusement fait défaut.

Pour aller plus loin, vous pouvez consulter ce manifeste envoyé au Conseil fédéral suisse par Zita Küng et les membres de CH2021.ch à l’occasion du cinquantième anniversaire du vote – le 7 février 2021 – demandant instamment au Gouvernement suisse de mettre en place un plan d’action pour assurer une égalité réelle… et immédiate.

[1] Tresch, Anke; Lauener, Lukas; Bernhard, Laurent; Lutz, Georg et Laura Scaperrotta (2020). Élections fédérales 2019. Participation et choix électoral. FORS-Lausanne. DOI: 10,24447/SLC-2020-00002.

Seitz, Werner (2020). Les femmes lors des élections fédérales de 2019: Un grand pas en avant au Palais fédéral – Avec une analyse complémentaire de l’élection des femmes dans les parlements et les gouvernements cantonaux de 2015 à 2019. Commission fédérale pour les questions féministes CFQF. Berne: juin 2020, 24 p.

[2] https://www.schillingreport.ch/en/mediarelease-schillingreport-2020/

A propos Mary Mayenfisch-Tobin

Mary Mayenfisch-Tobin, une avocate irlandaise, a travaillé dans différents cabinets privés en Irlande avant de s’installer à Lausanne, lors de son mariage en 1987. Elle a étudié le français et obtenu un LLM en droit économique européen et international à l’Université de Lausanne en 1992. En 2017, elle est devenue médiatrice. Après avoir enseigné le droit à l’Ecole Hôtelière de Lausanne, à l’Université de Pepperdine (Suisse) et dans d’autres institutions académiques, elle continue aujourd’hui de travailler dans le domaine de l’éducation. Présidente du club de Lausanne de l’association BPW (Business & Professional Women) de 2010 à 2014, elle est l’actuelle Présidente du CLAFV Centre de Liaison des Associations Féminines Vaudoises, membre de la Commission consultative cantonale de l’égalité et membre du comité de Politiciennes.ch dans le canton de Vaud.

Swiss democracy and the public humiliation of women

Il seguente post in lingua originale ci è stato gentilmente messo a disposizione da Gender Campus, il portale per gli studi di genere, le pari opportunità e la diversità  delle scuole universitarie svizzere. Un ringraziamento va senz’altro all’autrice Patricia Purtschert.

This year, Switzerland remembers the introduction of voting rights for all its citizens. Fifty years ago, on February 7, 1971, women were enfranchised. This moment was preceded by 123 years of male-only suffrage, granted in 1848 to a selected group of men that initially excluded poor and Jewish men. Even today, voting rights are not granted for anyone without a Swiss passport.

The 50-year anniversary opens up important discussions about the injustice done to women, including the call for an official apology. The CH2021 initiative has published a manifesto proposing that the Federal Council launch an official “day of remembrance” in parliament, and commit to a “binding action plan to realize true equality”.

In this blog entry, I want to take a close look at one dimension of the injustice done to women. Referring to six moments in the lives of path-making women, my aim is to make visible the specific humiliation directed at women who have dared to enter the public space in order to raise their voice and participate in political decision-making. On the level of national politics, this history includes the social democratic politician Lilian Uchtenhagen who lost her attempt to be voted onto the Federal Council in 1983; the forced resignation of the first female Federal Councilor Elisabeth Kopp in 1988; and the parliament’s refusal to re-elect Ruth Metzler as the third female Federal Councilor in 2003. However, and as the stories below demonstrate, the long and largely unacknowledged history of women’s humiliation in the public sphere both affects and transcends the realm of parliamentary politics. That’s why I start narrating this history of humiliation not from within the parliament – the building itself – but from the public square right in front of it.

On the 22nd of September 2020, a Black woman whose name remains unknown, marches in a demonstration, initiated by illegalized people from different parts of Switzerland. The protest raises the unbearable conditions in which people must live when denied the right to asylum in Switzerland. The protestors, mainly people of color, hold posters with slogans like, “Don’t deal with human lives”, “I don’t want to live in prison” and “Asylum camps are places of violence”. When the group starts marching towards the parliament building in order to take their demands to the seat of Swiss government, they are brutally stopped by the police. With rubber bullets and water cannons, the demonstrators are prevented from entering the Bundesplatz, the public square in front the parliament building. The protesting woman I just mentioned is pregnant and walks together with her child who starts crying when the tear gas hits the crowd. Imagine how it feels when a supposedly democratic state forbids you from being in a public space in order to stand up for your human rights.

On the 5th of May 2011, Maria von Känel leaves the Swiss Federal Court in Lausanne together with her partner Martina and a group of LGBTQ activists. She has just lost her case to adopt their daughter and thus receive parental rights for her own child. Imagine the vulnerability of having one’s intimate relations put on trial like this. The court has argued that the couple had been living in a so-called registered partnership for only three years whereas heterosexual couples needed to be married for five years in order to qualify for a stepchild adoption. The court did not take into consideration how married heterosexuals do not need to adopt their own children in the first place. It also did not recognize that Maria von Känel and her partner, who had been together for thirteen years, were prevented from legally registering their relationship until 2007. In 2018, stepchild adoption for same-sex parents is finally introduced in Switzerland after a continuous struggle, one in which Maria and Martina von Känel have played a decisive role. Even in 2020, when the Federal Parliament voted in support of marriage equality, recognition for children born into a marriage between two women is still restricted by arbitrary, nationalist criteria. At the time of writing, right-wing and fundamentalist religious groups are collecting signatures for a referendum to block the introduction of the marriage equality law.

On the 10th of March 1993, National Councilor Christiane Brunner stands before parliament and withdraws her candidature for a place on the Federal Council. In her speech, she condemns the underhanded culture of politics “in which women can only loose”. For weeks, she has been targeted in a media campaign initiated by an anonymous letter-writer claiming that she had had an abortion and that the writer possessed a nude photo of her. Imagine the courage it takes to hold patriarchal politics accountable at the very moment of your exclusion, all hinging on completely baseless sexist and classist accusations. The subsequent election of a male politician and the reconstitution of an all-male government brings feminist protesters from all over the country to the capital, prompting new elections one week later. It is then that the unionist Ruth Dreifuss becomes the second female and the first Jewish Federal Councilor in Swiss history. Right after her election, she addresses the crowd in front of the parliament building, with Christiane Brunner by her side. For many years, the golden sun badge that they both wear on this day is worn by Swiss women as a symbol of both hope and rage.

On the 30th of November 1971, shortly after Swiss women finally got the right to vote, the first eleven women take their seats in the National Assembly. Among them is Tilo Frey, probably the first Black parliamentarian in Switzerland. This epoch-making shift in political representation is barely touched upon in the media. When it does get mentioned, newspapers write about flowers, colorful handbags, and scarfs adorning the parliament chambers. Tilo Frey is repeatedly singled out, and her political abilities are questioned, for wearing a white dress – the color of suffragettes and festive occasions. The parliamentary dress code is, needless to say, oriented towards men: dark suits. Imagine the affront when such a historic moment is depicted as a side note, women’s political representation reduced to a matter of etiquette, and the one Black woman is portrayed as failing on both counts.

In February 1959, the Basel carnival has a predominant target: women’s struggle for suffrage thwarted by the all-male vote on February 1st. The central target of the spectacle is Basel-based author Iris von Roten, whose feminist magnum opus “Frauen im Laufgitter. Offene Worte zur Stellung der Frau” (“Women in the Playpen. Plain Words about the Situation of Women”) provoked huge public debate before the vote. Many years of careful research preceded the publication of Iris von Roten’s long (600 pages), brilliant and ground-breaking book in fall 1958. Imagine the indignity of your encompassing analysis of contemporary patriarchy being ridiculed in a carnival parade celebrating another victory of men over women. Women’s suffrage is introduced in Switzerland in 1971, making Iris von Roten a full citizen at the age of 54. Her book remains an inspiration and an incentive for feminists to this day.

In February 1939, Frieda Berger, whose name is anonymized due to archival law, writes to Federal Councilor Philipp Etter. It is one of many letters she has sent to decision-makers, stating, in startlingly clear language, that the deprivation of her freedom without a trial was a severe violation of her rights. Frieda Berger earned her livelihood as a domestic worker in households and on farms. In 1930, at the age of 36, she had been placed under guardianship due to “unruly behavior”. Her main offence was her romantic and sexual relations with men she was not married to and her alleged involvement in prostitution. Over the next four decades she spent fifteen years in asylums against her will. Most of her letters to the authorities remained unanswered or poorly answered. Imagine having your freedom in the hands of men who refuse to hear your voice, even if you appeal to the rule of law. Many years after Frieda Berger’s death, historian Tanja Rietmann discovered over 130 of her letters in archives and made her story public. Then, on the 10th of September 2010, 71 years after Berger sent her letter to a member of the Federal Council, Federal Councilor Eveline Widmer-Schlumpf made an official government apology to the many people forced into administrative detention [administrative Versorgung].

These are just six out of many untold stories about Swiss democracy. They refer to various places and protagonists, to diverse struggles and victories, and to very different historical circumstances and contexts. They also make apparent how women’s ability to raise their voices and to gain access to public space is always intertwined with their class, race, sexuality, nationality, or legal status. My aim is not to claim that these women share the same or even similar experiences. Instead, I want to highlight the ongoing practice of humiliating women when they do try to enter the public arena, and the way their humiliation is normalized by the very people who are supposed to represent and uphold “Swiss democracy”.

Writing Swiss history from a feminist perspective means comprehending how the humiliation of women sets the ground for their complicated feelings of un/belonging in the public. This generates a deep sense of anxiety, uneasiness, and trepidation, one which is rarely taken into account when we talk about democracy, participation, and equality. It is a collective affect so often engraved on the faces, voices, and bodies of women exposed to public humiliation. And it is inscribed in the hearts and minds of those who watch(ed) them, including the girls who learn to imagine what their place in the world might be. Yet, the steadfastness, rage, and perseverance of these women also constitutes the ground for political action, social change, and the re-invention of the political – often in ways that could not have been imagined possible before.