Luciana Thordai-Schweizer (*1929)

Il 3 febbraio 1959 Luciana Thordai-Schweizer incrocia le braccia insieme a una cinquantina di colleghe. Le docenti del liceo femminile di Basilea interrompono il lavoro per protestare contro l’esito della votazione federale di due giorni prima, quando gli uomini svizzeri hanno bocciato l’introduzione del diritto di voto e di eleggibilità delle donne. La manifestazione entra nella storia del Paese come lo «sciopero delle insegnanti di Basilea».

Crediti: la Commissione federale per le questioni femminili CFQF

Luciana Schweizer non vuole diventare docente: lei desidera studiare medicina, ma suo padre glielo vieta, adducendo che è un percorso troppo impegnativo per la salute di una giovane donna. Dopo un primo impiego come segretaria presso una società di trasporti basilese, si reca nell’Inghilterra del Sud come student employee presso la Ciba, l’odierna Novartis. Il lavoro d’ufficio, tuttavia, la rende «tremendamente infelice»9 e così rientra in Svizzera e inizia a studiare francese, inglese e storia a Basilea e Parigi, segue corsi di psichiatria per non medici e intraprende la professione di docente.

Nel 1956 inizia a insegnare presso il liceo femminile di Basilea, comunemente noto come «Affenkasten» (gabbia per scimmie). Ogni classe conta poco meno di 40 allieve. Molte delle insegnanti dell’istituto si adoperano da anni per i diritti politici delle donne, ad esempio in seno alla società basilese per il suffragio femminile. Oltre a non godere dell’uguaglianza politica, nel quotidiano professionale le docenti subiscono notevoli discriminazioni rispetto ai loro colleghi uomini, basti pensare che guadagnano meno e che sottostanno alla cosiddetta clausola del celibato introdotta all’indomani della Prima guerra mondiale per far fronte all’esubero di insegnanti: concretamente, se una docente si sposa, perde il suo impiego fisso; al massimo può continuare a lavorare come supplente fissa con un contratto annuale a un salario inferiore e deve rinunciare alla cassa pensioni.

Queste discriminazioni non fanno altro che attizzare lo sdegno che ribolle nell’aula riservata alle docenti il mattino di lunedì 2 febbraio 1959: il giorno precedente, il popolo votante – interamente costituito da uomini – ha respinto con una maggioranza del 66 per cento il primo disegno di legge federale volto a introdurre il diritto di voto e di eleggibilità delle donne. Le insegnanti non intendono rimanere in silenzio dinanzi a questo responso. A lanciare spontaneamente l’idea dello sciopero è la storica, insegnante e già vicepreside Dr. Rut Keiser. Per Luciana Schweizer è chiaro sin dall’inizio che aderirà allo sciopero sebbene la questione del suffragio femminile non le interessi particolarmente. È infatti consapevole dell’importanza che riveste la lotta per i diritti politici per le sue colleghe più anziane: «Erano donne colte, intelligenti, interessate alla politica, ma non potevano votare. Loro hanno lottato intensamente. Io ho partecipato allo sciopero per solidarietà.»

Alle 10.00 del mattino successivo suona il campanello a casa di Luciana Schweizer. Davanti alla porta, le allieve alle quali, a quell’ora, dovrebbe insegnare storia. Dato che nessuna delle docenti si è presentata al lavoro, il direttore le ha mandate a casa. Luciana Schweizer tira un sospiro di sollievo: l’appello allo sciopero è stato seguito. Alle 12.00 anche Radio Beromünster, l’emittente radiofonica pubblica della Svizzera tedesca, dà notizia dello sciopero delle insegnanti. Il 3 febbraio 1959, delle circa 50 docenti che dovrebbero essere in aula, 39 incrociano le braccia e, salvo due che non sono dipendenti fisse del liceo, tutte firmano una dichiarazione di solidarietà. Allo sciopero aderiscono anche le due segretarie della scuola.

In quel momento nessuno sa quali conseguenze avrà la protesta. Mentre alcuni colleghi uomini e il direttore dell’istituto mostrano comprensione nei confronti delle docenti, altri reagiscono infastiditi. Tutti i giornali, persino il New York Times, ne parlano e le insegnanti ricevono molte lettere perlopiù di supporto. Quando il Consiglio dell’educazione basilese si china sulla questione, come membro del trio di delegate delle scioperanti, Luciana Schweizer parla dinanzi al gruppo di ispettori. Quest’ultimo si limita a emettere un richiamo scritto e a detrarre un giorno di lavoro dalla busta paga delle interessate.

Lo sciopero delle insegnanti di Basilea mostra tutta la forza del movimento per il suffragio femminile nel Cantone di Basilea Città, il primo della Svizzera tedesca a introdurre nel 1966 il diritto di voto e di eleggibilità delle donne a livello cantonale.

Lo stesso anno Luciana Schweizer sposa il medico ungherese Stefan Thordai, ma anche dopo aver lasciato il liceo femminile, continua a tenere accesi i riflettori sullo sciopero. Pur non figurando tra le promotrici dell’azione di protesta ne diventa una delle sue principali paladine. Tiene discorsi, rilascia interviste e tiene vivo il ricordo che le donne hanno dovuto combattere per conquistare i diritti politici. Nel contempo, lo sciopero la rende consapevole dei diritti delle donne. Se prima della protesta era poco interessata alla politica, dal 1971 non si è recata alle urne solo in due occasioni. A suo modo di vedere, la lotta per l’uguaglianza non è ancora finita: «Siamo ancora ben lontani dall’aver raggiunto tutti gli obiettivi.»

(Crediti: la Commissione federale per le questioni femminili CFQF)

«Erano donne colte, intelligenti, interessate, alla politica, ma non potevano votare. Ho partecipato allo sciopero per solidarietà.» Luciana Thordai-Schweizer, 2018

 

 

 

 

Emilie Lieberherr (1924-2011)

«Diritti umani per entrambi i sessi!» chiede Emilie Lieberherr il 1° marzo 1969 in Piazza federale alla «Marcia su Berna». Insieme a 5000 dimostranti esige il diritto di voto e di eleggibilità per le donne. La pressione sul Consiglio federale aumenta al punto che ancora lo stesso anno questi presenta un progetto per l’introduzione del suffragio femminile.

Crediti: la Commissione federale per le questioni femminili CFQF

Di origini modeste – la madre è una sarta italiana e il padre un ferroviere del Toggenburgo – Emilie Lieberherr cresce a Erstfeld nel Cantone di Uri. Benché di religione protestante, frequenta il collegio cattolico Theresianum Ingenbohl, nel Cantone di Svitto, e nel 1942 ottiene il diploma di commercio. Negli anni seguenti lavora per l’Unione di banche svizzere a Zurigo e consegue la maturità commerciale. Si iscrive all’università di Berna dove studia economia politica e pedagogia. Per mantenersi, lavora come formatrice del personale di vendita presso la scuola professionale.

In questo periodo conosce Hermine Rutishauser con cui trascorrerà i successivi 60 anni. Sul finire degli anni 1950 le due donne partono per conoscere il mondo. Si recano negli USA e dal 1957 al 1959 lavorano in diversi posti come educatrici e domestiche.

Tornata in Svizzera, nel 1960 Emilie Lieberherr viene assunta come docente di scuola professionale per il personale di vendita a Zurigo. Nel 1961 è cofondatrice del Forum delle consumatrici della Svizzera tedesca, che presiede dal 1965 al 1978. Nel 1965 consegue il dottorato all’Università di Berna.

Emilie Lieberherr entra a far parte dell’Associazione svizzera per il suffragio femminile (ASSF). Nel 1959 due terzi del popolo votante rigorosamente maschile respingono il primo progetto federale per l’introduzione del suffragio femminile. La delusione e l’indignazione delle suffragiste sono profonde. Come se non bastasse, nel 1963 la Svizzera aderisce al Consiglio d’Europa e – con alcuni anni di ritardo – intende sottoscrivere la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) con due riserve: una relativa alla non concessione dei diritti politici alle donne e l’altra, alla disparità nella formazione di ragazze e ragazzi. Dinanzi a questa prospettiva le suffragiste insorgono inscenando diverse manifestazioni. Al riguardo, soprattutto il nuovo movimento femminista auspica azioni dirette e propone una marcia di protesta su Berna. Per l’ASSF si tratta di una mossa troppo radicale, ma la società zurighese per il suffragio femminile si mostra più battagliera: costituisce un comitato d’azione e, in collaborazione con delegate di Basilea Città e Winterthur, lancia l’appello a partecipare alla marcia di protesta sulla capitale.

Il 1° marzo 1969 circa 5000 donne (e uomini) marciano su Berna per manifestare contro l’ulteriore rinvio dell’introduzione del diritto di voto e di eleggibilità universale. Quale presidente del comitato d’azione zurighese, Emilie Lieberherr pronuncia su Piazza federale un discorso coraggioso e acclamatissimo, e trasforma le riserve con le quali il Consiglio federale intende sottoscrivere la CEDU in pietre dello scandalo: «Questa raccomandazione [NdT: che il Governo ha dato al Parlamento] ha seriamente minato la nostra proverbiale pazienza svizzera. Ha inferto uno schiaffo alle donne e ha compromesso la nostra fiducia nel Consiglio federale. Non siamo qui per mendicare, ma per esigere i nostri diritti.»8 Terminata la sua arringa, da Piazza federale si leva un coro di fischi prodotti con i fischietti appositamente distribuiti.

La «Marcia su Berna» desta scalpore in tutto il Paese e accresce la pressione sul Consiglio federale. Il Parlamento rifiuta di sottoscrivere la CEDU con riserve. Il Governo stringe i tempi e ancora lo stesso anno presenta un progetto per l’introduzione del suffragio femminile che nel 1971 viene accolto a livello federale.

Quando ciò accade, nel Cantone di Zurigo le donne possono votare ed essere elette già da un anno. Nota antesignana dei diritti delle donne, l’8 marzo 1970 Emilie Lieberherr diventa la prima donna eletta tra le fila del Partito socialista (PS) nel Municipio della Città di Zurigo e nel 1978 la prima donna svizzero tedesca eletta nel Consiglio degli Stati. Dal 1976 al 1980 ricopre la carica di presidente della neoistituita Commissione federale per i problemi della donna. Il suo impegno a favore della parità di diritto e di fatto delle donne dura tutta la vita. Collabora alla stesura del messaggio del Consiglio federale concernente l’iniziativa popolare «Per l’eguaglianza dei diritti tra uomo e donna» depositata nel 1976 e si adopera per un nuovo diritto matrimoniale.

In seguito a contrasti con il suo partito, nel 1983 si dimette dalla carica di senatrice. Nel 1990 viene definitivamente espulsa dal PS, ma rimane a capo del dicastero delle opere sociali della Città di Zurigo. Sotto la sua direzione, viene introdotto l’anticipo degli alimenti, vengono create numerose case di riposo e strutture per i giovani e lanciati programmi per i giovani disoccupati. Dopo 24 anni trascorsi nell’esecutivo cittadino, nel 1994 si ritira dalla vita politica. Si spegne nel 2011 all’età di 86 anni (Crediti: la Commissione federale per le questioni femminili CFQF).

«La parità dei sessi è un presupposto » Emilie Lieberherr, 1969

 

 

 

 

Katharina Zenhäusern (1919-2014)

Nel 1957, la vallesana Katharina Zenhäusern e altre 32 donne si recano alle urne per votare sull’obbligo femminile di prestare servizio di protezione civile. Dato che le donne svizzere ancora non godono dei diritti politici, il loro è un atto di disobbedienza civile. L’azione di protesta si svolge nel Comune di Unterbäch e attira l’attenzione anche oltre i confini nazionali.

Crediti: la Commissione federale per le questioni femminili CFQF

Il 3 marzo 1957 è il giorno fissato per la votazione federale sull’introduzione del servizio di protezione civile femminile obbligatorio. Gli uomini svizzeri sono chiamati a esprimersi su un progetto che riguarda esclusivamente le donne. Indignate, le suffragette e le organizzazioni femminili protestano: «Nessun nuovo dovere senza diritti!»

La sera del 2 marzo 1957, a Unterbäch, Katharina Zenhäusern è la prima donna svizzera a deporre la propria scheda in un’urna di voto. In quel momento ha 37 anni, lavora nel settore agricolo ed è sposata con il sindaco Paul Zenhäusern. «Una qualsiasi doveva pur iniziare» ricorderà più tardi. La stessa sera vota anche la madre ottantenne di Katharina Zenhäusern. Complessivamente, 33 delle 106 donne residenti nel Comune partecipano alla votazione sotto una pioggia di fischi. In alcuni casi, gli insulti – da parte di uomini e donne – si protraggono per diversi giorni. Lo scrutinio di Unterbäch suscita anche l’attenzione dei media. Sul posto giungono giornalisti e fotografi dall’Asia e dagli USA, e la notizia finisce persino sulle pagine del New York Times.

Ma come mai proprio le donne del Comune altovallesano di Unterbäch sono assurte a pioniere dei diritti politici femminili? Uno dei motivi risiede sicuramente nella situazione economica di quella regione di montagna dove i posti di lavoro sono rari e molti uomini lasciano il proprio villaggio per essere assunti altrove come stagionali nei vigneti, nei frutteti o come costruttori di gallerie. In genere, rimangono lontani da casa per diversi mesi. Durante la loro assenza sono le donne a occuparsi della famiglia, dei campi, dei bambini e degli affari, e godono quindi di una grande libertà decisionale. Un secondo motivo è riconducibile alla collaborazione politica con Iris e Peter von Roten. Residenti nel vicino Comune di Raron, i due spesso e volentieri perorano pubblicamente la parità di diritti delle donne.

Di fatto, Peter von Roten si consulta sull’imminente votazione con il sindaco e granconsigliere Paul Zenhäusern. Entrambi hanno già sottoposto al Parlamento cantonale due mozioni per l’introduzione del diritto di voto e di eleggibilità delle donne, senza successo. Ora vogliono che le donne di Unterbäch possano prendere parte allo scrutinio federale. Si rivolgono quindi per un parere al giudice federale Werner Stocker. Secondo quest’ultimo la partecipazione delle donne a una votazione federale è compatibile con l’articolo costituzionale sui diritti politici purché le dirette interessate siano iscritte nel catalogo elettorale del Comune. Il 6 febbraio 1957, il Consiglio comunale di Unterbäch dà il via libera all’adempimento di tale condizione e decide di predisporre un’urna separata per le schede di voto delle donne. «La decenza e le buone maniere – si legge nel verbale della seduta – impongono che, soprattutto in questo caso, gli uomini non si comportino come tutori, ma si adoperino per conciliare i diritti e i doveri delle loro donne.»7 Dato che la tenuta del catalogo elettorale è di competenza dei Comuni, il Legislativo di Unterbäch invoca l’autonomia comunale. La legge elettorale vallesana esclude dall’esercizio dei diritti politici solo i detenuti e gli indigenti, ma non menziona le donne. Irritati, il Governo cantonale e il Consiglio federale ritengono che l’intento del Comune di Unterbäch sia incostituzionale, ma quest’ultimo non demorde. Anche altri Comuni (Siders, Martigny-Bourg, Lugano, La Tour-de-Peilz e Niederdorf BL) consentono alle donne di partecipare alla votazione a titolo consultivo, ma Unterbäch è l’unico che intende trattare alla pari le schede di voto di donne e uomini.

Per finire, le schede di voto delle donne di Unterbäch vengono dichiarate nulle, nondimeno l’azione di protesta segna un importante passo avanti nel cammino verso la parità politica. Contro la volontà del Governo vallesano, Unterbäch è il primo Comune svizzero a iscrivere le donne nel proprio catalogo elettorale. A livello cantonale bisognerà attendere 13 anni affinché il suffragio femminile diventi realtà. Finché vivrà, Katharina Zenhäusern non si perderà nemmeno una votazione.

Il villaggio di montagna dell’Alto Vallese diventa il simbolo della partecipazione politica femminile e acquisisce notorietà come il «Rütli delle donne svizzere». Quando nel 1984 Elisabeth Kopp viene eletta prima consigliera federale, le conferisce la cittadinanza onoraria e, dopo le sue dimissioni forzate nel 1988, nel febbraio del 1989 la invita a recarsi a Unterbäch. Elisabeth Kopp raccoglie l’invito e durante le sue visite fa la conoscenza di Iris von Roten e Katharina Zenhäusern, pioniere come lei della lotta per il suffragio femminile (Crediti: la Commissione federale per le questioni femminili CFQF)

“Una qualsiasi doveva pur iniziare.” Katharina Zenhäusern, 2007

 

 

 

 

Iris von Roten (1917-1990)

Nel suo libro Frauen im Laufgitter (donne in un box per bambini), pubblicato nel 1958, la giurista e scrittrice Iris von Roten fornisce un’analisi sconcertante della situazione delle donne in Svizzera nonché una descrizione impietosa dei rapporti di forza che vigono nella società patriarcale e dell’oppressione delle donne. Per questa sua franchezza viene criticata e diffamata a vita. Oggi il suo libro è considerato un testo di riferimento del femminismo.

Crediti: la Commissione federale per le questioni femminili CFQF

Iris Meyer nasce e cresce in una famiglia benestante. Dal 1932 al 1936 frequenta la scuola superiore femminile di Zurigo. Dopo la maturità, studia diritto a Berna, Ginevra e Zurigo e ottiene il dottorato in legge nel 1941. Inizia a lavorare come giornalista e redattrice per diverse riviste e nel 1944 approda allo Schweizer Frauenblatt, l’organo dell’Alleanza delle società femminili svizzere (ASF).

All’università di Berna, Iris Meyer conosce Peter von Roten, suo compagno di studi nonché futuro granconsigliere vallesano. I due si innamorano e iniziano una fitta corrispondenza su temi sociopolitici e personali. Tra il 1943 e il 1950 si scambiano oltre 1300 lettere. Malgrado l’opposizione della famiglia aristocratica, cattolica e conservatrice di lui, si sposano nel 1946. Lo stesso anno, Iris von Roten ottiene la patente di avvocato. La coppia apre uno studio legale e notarile in Vallese, ma a Iris von Roten le valli conservatrici vanno troppo strette: come avvocato donna non le vengono pressoché affidati mandati e realizzarsi in quel «buco per soli uomini che è il Vallese» (NdT: libera traduzione da Verliebte Feinde, pag. 373) è praticamente impossibile.

Nell’estate del 1947 si reca in Inghilterra per un soggiorno linguistico di alcuni mesi durante i quali approfondisce i temi del femminismo. L’estate successiva parte per gli Stati Uniti dove per un anno studia sociologia e lavora alla stesura di un libro sulla privazione di diritti delle donne. Iris e Peter von Roten proseguono il loro scambio epistolare e discutono in particolare dei rapporti tra i generi e della libertà sessuale. In quello stesso periodo, contro la volontà del partito cattolico conservatore al quale appartiene, Peter von Roten deposita in Consiglio nazionale e in Gran Consiglio interventi parlamentari per l’uguaglianza politica delle donne.

Al rientro in Svizzera di Iris, la coppia si trasferisce a Basilea. Nel 1952 nasce la loro figlia Hortensia. Affinché entrambi possano conciliare famiglia e professione, sperimentano diversi modelli di custodia, dalla bambinaia ai collocamenti extrafamiliari passando per gli aiutanti studenti. Dopo anni di lavoro, nel 1958 Iris von Roten pubblica Frauen im Laufgitter. Offene Worte zur Stellung der Frau (donne in un box per bambini, parole franche sulla condizione delle donne), un’analisi sociologica della situazione delle donne lunga quasi 600 pagine. In cinque capitoli indaga in modo dettagliato e con occhio critico le radici e le interconnessioni dell’oppressione delle donne. Analizza la «weibliche Berufstätigkeit in einer Männerwelt» (l’attività professionale delle donne in un mondo dominato dagli uomini), la dipendenza delle donne nella vita amorosa e sessuale, definisce le faccende domestiche «Haushaltsfron» (giogo) e la maternità «Bürde ohne Würde» (fardello senza dignità). Nel capitolo «Ein Volk von Brüdern ohne Schwestern» (un popolo di fratelli senza sorelle) stigmatizza la privazione di diritti politici delle donne. Chiede la piena parità economica, giuridica, politica e sociale dei due generi, e l’autodeterminazione sessuale delle donne. Le sue parole spesso mordaci sono contestate con veemenza da più parti. Soprattutto le sue affermazioni sulla maternità, le faccende domestiche e la sessualità suscitano indignazione. Frauen im Laufgitter diventa pietra dello scandalo e Iris von Roten viene pubblicamente ostracizzata, dileggiata e attaccata sul piano personale. A dicembre del 1958 anche l’influente Alleanza delle società femminili svizzere (ASF) prende le distanze dal suo libro. Molte suffragiste tradizionaliste temono che il suo scritto polemico e radicale possa rivelarsi controproducente in vista dell’imminente votazione per la concessione del diritto di voto alle donne. Pochi mesi dopo la bocciatura alle urne del suffragio femminile nel febbraio del 1959 Iris von Roten pubblica Frauenstimmrechts-Brevier (breviario del diritto di voto alle donne) nel quale descrive brevemente perché il diritto di voto è fondamentale per una piena parità dei sessi.

Dopo queste due opere Iris von Roten non si esprime più se non in rare occasioni su temi femministi. Nel 1960 parte per un viaggio di sei mesi in auto attraverso la Turchia. Da questa esperienza nasce il libro Vom Bosporus zum Euphrat. Türken und Türkei (dal Bosforo all’Eufrate; i turchi e la Turchia) che pubblica nel 1965. Intraprende altri viaggi in molti Paesi e si dedica alla pittura. Nel 1990, con l’aggravarsi dei problemi di salute che la affliggono da quando è stata coinvolta in un incidente stradale e la perdita della vista che le impedisce di dipingere, Iris von Roten si toglie la vita. Un anno dopo la sua scomparsa esce per efef-Verlag una ristampa di Frauen im Laufgitter che diventa un bestseller (Crediti: la Commissione federale per le questioni femminili CFQF).

“(…) nei Paesi dove la parità di diritti politici è realtà in nessun ambito le donne possono essere in linea di principio trascurate o ignorate. Le donne contano! Ai loro stessi occhi e a quelli altrui. Certo, non tanto quanto dovrebbero, ma molto più che nei Paesi dove nella vita politica vengono messe a tacere.” Iris von Roten, Frauen im Laufgitter (1958), pag. 579

 

 

 

 

 

Antoinette Quinche (1896-1979)

Antoinette Quinche è la prima donna a conseguire il dottorato in legge e a esercitare la professione di avvocato nel Cantone di Vaud. Personaggio influente delle società cantonali e nazionali per il suffragio femminile, nel 1957 porta la causa del diritto di voto e di eleggibilità delle donne fino al Tribunale federale. Il suo ricorso viene respinto, ma nel suo Cantone di origine i decenni di lavoro su questo fronte danno i loro frutti: nel 1959 Vaud diventa il primo Cantone a introdurre il suffragio femminile in materia cantonale.

Crediti: la Commissione federale per le questioni femminili CFQF

Dopo un solo anno di frequenza, Antoinette Quinche abbandona la scuola femminile di Losanna per iscriversi, grazie all’intercessione di suo padre, al liceo cantonale all’epoca riservato esclusivamente ai ragazzi. Ottenuta la maturità, nel 1915 inizia a studiare diritto all’Università di Losanna. Nel 1923 con Linette Combe diventano le prime donne nel Cantone di Vaud a conseguire il dottorato in legge. Dopo tre anni di praticantato, Antoinette Quinche ottiene la patente di avvocato e apre un proprio studio legale che rappresenta principalmente donne in cause di divorzio, riconoscimento di paternità e infortuni sul lavoro. Nel 1953 fornisce un contribuito decisivo affinché le donne che sposano un cittadino straniero non debbano più rinunciare alla nazionalità svizzera e ottiene anche un miglioramento delle condizioni di detenzione nelle carceri femminili. Parallelamente alla sua attività professionale, con Linette Combe offre anche consulenza legale gratuita alle donne per conto dell’Union des femmes.

Fino alla scomparsa dei genitori, Antoinette Quinche vive nella casa paterna insieme a sua sorella. Nel 1936, le due accolgono nella loro abitazione la suffragetta iberica Clara Campoamor, costretta all’esilio dallo scoppio della guerra civile spagnola. Nel 1962, le sorelle Quinche prendono in affido una bambina di due anni, figlia di una loro amica deceduta.

Antoinette Quinche svolge attività e ricopre cariche pubbliche per diversi anni. Aderisce al Partito radicale democratico (PRD, oggi PLR), diventa membro della sua direzione cantonale e fonda il gruppo donne del PRD di Losanna. Dal 1932 al 1935 presiede l’Associazione svizzera delle laureate.

In ambito professionale, si batte per la parità politica delle donne. Già da giovane, durante un soggiorno a Londra, assiste insieme a sua madre originaria della Gran Bretagna a una manifestazione di protesta delle suffragette. Anni dopo diventa lei stessa paladina dei diritti politici delle donne. Nel 1927 aderisce all’Associazione svizzera per il suffragio femminile (ASSF), nel 1928 entra a far parte del suo comitato centrale e dal 1945 al 1951 ricopre la carica di vicepresidente. Nel 1930 prende le redini del gruppo losannese e dal 1932 anche quelle dell’Associazione vodese per il suffragio femminile. Fino al 1961 rappresenta l’ASSF in seno all’Alleanza internazionale delle donne.

Nel 1929 Antoinette Quinche si mobilita come presidente del comitato d’azione vodese e membro di quello svizzero per la petizione federale a favore del suffragio femminile. Le attiviste distribuiscono volantini, organizzano conferenze e raccolgono firme. Grazie all’impegno delle donne vodesi un settimo delle firme raccolte a livello nazionale proviene dal Cantone di Vaud. Malgrado il numero ragguardevole di sottoscrizioni (249’237) la petizione non sortisce alcun effetto diretto.

All’indomani della Seconda guerra mondiale, l’ASSF costituisce il Comitato d’azione svizzero per il suffragio femminile. Antoinette Quinche è nominata presidente e organizza numerose iniziative. Nel 1948, in occasione dei festeggiamenti per il centenario dello Stato federale all’insegna dello slogan «la Svizzera, un popolo di fratelli», il Comitato indice una manifestazione sulla discriminazione delle donne.

Nel 1956, Antoinette Quinche e altre 1’413 compagne di lotta dei Cantoni di Vaud, Neuchâtel e Ginevra chiedono di essere iscritte nel catalogo elettorale del rispettivo Comune (cfr. lucido e testo su Elsa Franconi-Poretti e Katharina Zenhäusern) invocando il principio dell’uguaglianza tra donna e uomo iscritto nella Costituzione federale. Con questa interpretazione giuridica puntano a ottenere il suffragio femminile senza passare per una modifica costituzionale. I Comuni respingono la loro richiesta e nel 1957 Antoinette Quinche impugna questa decisione fino al Tribunale federale. Ma anche la massima istanza giudiziaria elvetica le dà torto adducendo che il diritto consuetudinario prevale sull’uguaglianza sancita dalla Costituzione.

In vista della prima votazione federale sul suffragio femminile, Antoinette Quinche fa opera di persuasione tra i politici vodesi. Grazie al suo impegno, il 1° febbraio 1959 gli uomini del Cantone di Vaud si esprimono oltre che sul diritto di voto delle donne in materia federale anche su quello in materia cantonale. Mentre a livello nazionale il progetto viene bocciato, Vaud approva l’uguaglianza politica delle donne e diventa così il primo Cantone a introdurre il suffragio femminile.

Dopo questo successo, Antoinette Quinche si ritira dalla scena pubblica, ma continua a esercitare la professione di avvocato fino in età avanzata. Scompare nel 1979 a 83 anni (Crediti: la Commissione federale per le questioni femminili CFQF).

“Nel nostro Paese, la democrazia è molto antica e fondamentalmente maschile. Per trasformarla, occorreva molto tatto e trovare argomenti validi agli occhi dei democratici. Per questo motivo abbiamo sempre posto l’accento sull’ingiustizia fatta alle donne.” Antoinette Quinche, 1971

 

 

 

 

 

Elsa Franconi-Poretti (1895-1995)

La giornalista, autrice e attrice Elsa Franconi-Poretti trascorre buona parte della sua vita a Parigi. Nel 1955 rientra in Svizzera e si impegna soprattutto a favore dei diritti politici delle donne. Nel 1971, all’età di 75 anni, diventa una delle prime granconsigliere ticinesi e la prima donna in assoluto a tenere un discorso dinanzi a tale consesso.

Crediti: la Commissione federale per le questioni femminili CFQF

Elsa Poretti frequenta le scuole a Lugano e presso l’Istituto Santa Maria di Bellinzona. Nel 1914 ottiene la patente di maestra e per un breve periodo insegna nelle scuole elementari di Bré (Lugano). Nel 1924 sposa l’architetto e artista Giuseppe Franconi e con lui si trasferisce dapprima nel nord della Francia e successivamente a Parigi, dove quest’ultimo collabora alla ricostruzione del Paese dopo la fine della Prima guerra mondiale. Nel capitale francese, Elsa Franconi-Poretti lavora come corrispondente per il Corriere del Ticino e Radio Monteceneri. Allo scoppio della Seconda guerra mondiale torna con sua figlia a Lugano, si presenta come volontaria alla locale sede della Croce Rossa e muove i primi passi come attrice e autrice di teatro. Al termine del conflitto rientra a Parigi e riprende l’attività giornalistica.

Dopo tre decenni trascorsi nella ville lumière, nel 1955 la famiglia Franconi-Poretti rientra in patria e si stabilisce a Lugano. Elsa prosegue la collaborazione con il Corriere del Ticino per il quale scrive articoli e cura le rubriche femminili La pagina della donna, Corriere Donna e Donna. Insieme a tre colleghe realizza per Radio Monteceneri L’Ora della donna, un programma settimanale che informa in particolare sulla situazione sociale e politica delle donne. Girati in valli ticinesi discoste, ma anche in Paesi come l’Unione sovietica, Israele ecc., i servizi trasmessi innescano discussioni che fanno uscire il dibattito dalla sfera privata conferendogli una dimensione pubblica. Nel 1973, due anni dopo l’introduzione del suffragio femminile a livello svizzero il programma viene chiuso.

Parallelamente alle sue attività professionali, Elsa Franconi-Poretti milita in diverse società per il suffragio femminile. Aderisce al Movimento sociale femminile creato nel 1933 a Lugano per ottenere il diritto di voto e di eleggibilità delle donne. Negli anni 1950 in Ticino si contano già sei gruppi regionali che portano il dibattito fin nei più piccoli villaggi del Cantone. L’intento è quello di sensibilizzare sul tema non solo gli uomini svizzeri (e quindi gli aventi diritto di voto), ma anche e soprattutto le donne e i giovani. In quegli anni il Movimento intensifica i rapporti con l’Associazione svizzera per il suffragio femminile (ASSF) e nel 1954 cambia nome in Associazione Ticinese per il voto alla donna. Elsa Franconi-Poretti diventa redattrice di La Nostra Voce, l’organo di stampa ufficiale del movimento il cui primo numero esce nel giugno del 1956.

Nel 1957 organizza insieme ad altre donne un voto di protesta contro un progetto di legge federale che prevede un servizio civile femminile obbligatorio sul quale il 3 marzo sono chiamati a esprimersi solo gli uomini (con diritto di voto), mentre le donne non hanno voce in capitolo. (Un analogo voto di protesta viene inscenato contemporaneamente da un gruppo di donne nel Comune vallesano di Unterbäch; cfr. lucido e testo relativo a Katharina Zenhäusern.)

Elsa Franconi-Poretti fa politica anche a livello partitico. Membro del Partito Radicale Democratico (PRD), nel 1957 crea il Gruppo donne liberali di Lugano che presiede fino al 1978. In questa veste nel 1958 partecipa all’unione delle società femminili ticinesi nell’associazione mantello Federazione Ticinese Società Femminili (FTSF, oggi: Federazione Associazioni Femminili Ticino Plus). Lo scopo della FTSF è «raggruppare le società femminili regionali e locali», «studiare le questioni relative alla condizione della donna nella vita pubblica e privata», e «rappresentare gli interessi femminili nei confronti dell’autorità.»

Nel 1969, in Ticino si vota per la terza volta sulla concessione alle donne del diritto di voto e di eleggibilità a livello cantonale. Dopo averla bocciata in modo netto con il 77 per cento dei voti alla prima votazione del 1946 e con ancora il 59 per cento dei voti alla seconda votazione del 1966, gli uomini ticinesi accolgono l’uguaglianza politica delle donne con una maggioranza del 63 per cento. Il costante consolidamento del fronte favorevole al suffragio femminile dà finalmente i suoi frutti. A capo della campagna delle donne liberali, alle elezioni cantonali del 1971 Elsa Franconi-Poretti diventa una delle prime undici granconsigliere ticinesi. Dato che con i suoi 75 anni è il membro più anziano del Parlamento, tocca a lei presiedere il 3 maggio 1971 la seduta costitutiva e tenere – prima donna in assoluto a farlo – il discorso di apertura della legislatura.

Gli anni successivi lavora intensamente tra l’altro ai preparativi per l’Anno internazionale della donna proclamato dalle Nazioni Unite per il 1975. Nel 1980 cessa le sue attività professionali. Si spegne a Lugano nel 1995 all’età di 99 anni (Crediti: la Commissione federale per le questioni femminili CFQF).

“Per la prima volta da questo seggio scende una voce femminile (…). Ci attende la compilazione, l’adozione, la promulgazione di leggi che possano garantire nel futuro l’equità nel lavoro, la praificazione dei salari per uguali occupazioni (…) la possiblità per tutti di accedere agli studi di qualsiasi grado e importanza.” Elsa Franconi-Poretti

 

 

 

 

 

Emilie Gourd (1879-1946)

«L’idée marche!» Da questo suo slogan traspare la convinzione con cui Emilie Gourd si dedica alla lotta per i diritti delle donne. Dotata di talento giornalistico e di straordinarie capacità di mediazione, la ginevrina si adopera con grande passione e affronta numerosi viaggi per diffondere la sua «idea». Si impegna in associazioni cantonali, nazionali e internazionali per il suffragio femminile, fonda un periodico femminista e chiede condizioni di lavoro migliori nonché un salario uguale per un lavoro di uguale valore. 

Crediti: la Commissione federale per le questioni femminili CFQF

Nata in una famiglia di intellettuali della borghesia protestante, Emilie Gourd scopre attraverso la madre le associazioni femminili borghesi caritatevoli. Le due donne partecipano entrambe alle attività dell’associazione Goutte de lait, che combatte l’alta mortalità infantile al fianco di donne operaie. Suo padre, pastore riformato e professore di filosofia all’Università di Ginevra, ha a cuore l’istruzione delle sue due figlie. A tre anni Emilie conosce perfettamente l’alfabeto, a cinque sa leggere e a sette studia il tedesco. Frequenta la scuola superiore femminile, ma il diploma ottenuto non le permette di iscriversi all’università. Per questo motivo può seguire i corsi di filosofia e storia solo come uditrice. Dopo una breve parentesi dedicata all’insegnamento, la sua passione per la lettura e la scrittura prende il sopravvento. Si abbona a diverse riviste – tra cui il giornale femminista parigino La fronde (la fionda), scritto, diretto e stampato esclusivamente da donne – e in questo modo si informa sulle battaglie femminili nel mondo. 

Questo periodo segna l’inizio di un’evoluzione costellata da attività associative e innumerevoli conferenze in Svizzera e all’estero. Emilie Gourd entra in contatto con esponenti di spicco del movimento femminista (per il suffragio femminile) ginevrino, nel 1904 aderisce all’Unione delle donne di Ginevra, nel 1911 assume la presidenza dell’Associazione ginevrina per il suffragio femminile. Dal 1914 presiede l’Associazione svizzera per il suffragio femminile e il Laboratorio di cucito dell’Unione delle donne di Ginevra, istituito per dare un lavoro e quindi un guadagno a donne prive di mezzi. Nel 1923 diventa segretaria dell’Alleanza internazionale per il suffragio femminile. Con l’avvento dei fascismi negli anni 1930, crea la sezione ginevrina della comunità di lavoro svizzera Donna e democrazia. Nel 1912 fonda e diventa caporedattrice del mensile Le Mouvement Féministe, che unisce informazione, istruzione e propaganda per il diritto di voto e di eleggibilità alle donne. Al riguardo, la giornalista riferisce regolarmente sui movimenti femministi all’estero. Il mensile esce con nomi diversi in forma cartacea fino al 2009 quando viene ridenominato L’Emilie e diventa un sito web. 

Quale presidente dell’Associazione svizzera per il suffragio femminile (ASSF), Emilie Gourd svolge un importante ruolo di mediatrice. In questo periodo, l’ASSF – nata nel 1909 dall’unione delle associazioni locali per il diritto di voto alle donne – registra un forte incremento delle iscrizioni. Diversamente da molte donne borghesi (p.es. Emma Graf, che nel 1914 conia lo slogan «adempiere doveri significa creare diritti»), ritiene che in una democrazia i diritti politici debbano essere riconosciuti alle donne senza condizioni e che le donne non se li debbano «guadagnare»; in altre parole «nessun nuovo dovere senza diritti». Con questa posizione Emilie Gourd può mediare tra l’ala borghese e quella socialista del movimento femminista. Quando nell’ambito dello sciopero generale del 1918 gli operai chiedono l’introduzione del diritto di voto e di eleggibilità alle donne, in veste di presidente dell’ASSF la ginevrina invita il Consiglio federale ad assecondare questa rivendicazione. Tuttavia, prende le distanze da azioni inscenate da militanti: infatti, pur ispirandosi agli ideali egualitari della rivoluzione francese, vuole che si lotti per ottenere la parità di diritti con mezzi esclusivamente «legali». Nel 1929, un anno dopo aver lasciato la presidenza dell’ASSF, l’associazione lancia una petizione federale per il suffragio femminile che raccoglie un numero record di firme ed Emilie Gourd entra a far parte del comitato d’azione nazionale. 

Oltre che per i diritti politici delle donne svizzere, Emilie Gourd si adopera per condizioni di lavoro migliori e per il riconoscimento del lavoro delle donne. A tale scopo, nel 1925 organizza la prima esposizione cantonale ginevrina sul lavoro femminile che funge da modello per quella nazionale (SAFFA) del 1928. Per la SAFFA coordina il contributo del suo Cantone di origine e con ogni probabilità è sua l’idea di rappresentare la mancanza di progressi sul fronte del suffragio femminile con una gigantesca lumaca che desta grande scalpore. 

Emilie Gourd rimane caporedattrice di Le Mouvement Féministe e presidente di diverse associazioni fino alla morte. Una malattia cardiaca la costringe tuttavia a ridurre le sue attività. Nel 1946, tre mesi prima della sua scomparsa a 66 anni, gli uomini ginevrini respingono per la terza volta il diritto di voto e di eleggibilità alle donne a livello cantonale (Crediti: la Commissione federale per le questioni femminili CFQF).

Schweiz. Sozialarchiv F Fb-0009-28

“Senza l’emancipazione delle donne, il concetto di democrazia è solo ipocrisia e menzogna.” Emilie Gourd

 

 

 

 

 

Rosa Bloch-Bollag (1880 – 1922)

«Rosa la rossa» è tanto stimata quanto detestata. Il suo talento retorico e i successi ottenuti con la sua azione agitatoria la collocano tra le figure preminenti del movimento operaio svizzero di inizio 20esimo secolo. E probabilmente è merito suo se il diritto di voto e di eleggibilità delle donne figura nell’elenco delle rivendicazioni avanzate nel 1918 durante lo sciopero generale. 

Crediti: la Commissione federale per le questioni femminili CFQF

Rosa Bollag cresce a Zurigo in una famiglia impoverita di commercianti all’ingrosso ebrei. Interrotti gli studi di diritto per mancanza di mezzi finanziari, inizia a lavorare dapprima come rappresentante di una gioielleria zurighese, e in seguito come indipendente. Sposa Sigfried Bloch che nel 1909 assume la direzione della «Zentralstelle für soziale Literatur» (oggi: Schweizerisches Sozialarchiv). La coppia ha contatti con il movimento operaio e sindacale. 

Nel 1914 lo scoppio della Prima guerra mondiale acuisce la miseria in cui versano le famiglie della classe lavoratrice, confrontate con la penuria di prodotti alimentari e il rincaro. Come presidente dell’Unione delle operaie di Zurigo nell’estate del 1916 Rosa Bloch-Bollag organizza dimostrazioni contro la fame ai mercati settimanali di diverse città svizzere. Le lavoratrici protestano contro i prezzi elevati dei generi alimentari pagando un importo a loro discrezione o gestendo loro stesse la vendita di patate. Fulcro delle dimostrazioni sono perlopiù le unioni regionali delle operaie sorte sul finire del 19esimo secolo e raggruppatesi nel 1890 nella Federazione svizzera delle lavoratrici con l’intento di migliorare le condizioni di lavoro e la sicurezza sociale. Tra le rivendicazioni della Federazione figurano la parificazione del salario delle donne a quello degli uomini per lo stesso lavoro o la stessa prestazione, la giornata lavorativa di nove ore, un congedo maternità di otto settimane e una migliore istruzione per le ragazze. 

Nel 1893, la Federazione svizzera delle lavoratrici è la prima organizzazione a chiedere l’introduzione del suffragio femminile. E quando nel 1912 aderisce al Partito socialista (PS) Rosa Bloch-Bollag la segue. Sotto pressione delle operaie, ancora lo stesso anno il PS si pronuncia ufficialmente a favore del diritto di voto e di eleggibilità delle donne e diventa il primo partito a chiedere la concessione dei diritti politici alle donne. 

Nel 1917 la Federazione si scioglie e da quel momento le sue iscritte si organizzano in gruppi di donne socialiste coordinati dal 1918 dalla neocostituita Commissione centrale dell’agitazione femminile presieduta da Rosa Bloch-Bollag. Parallelamente, quest’ultima assume la redazione di Die Vorkämpferin, il principale giornale delle lavoratrici, e si fa notare per i suoi articoli impegnati e brillanti. 

Soprattutto in questo periodo Rosa Bloch-Bollag mostra la sua forza agitatoria. Nella primavera del 1918 è l’unica donna eletta nel comitato di azione di Olten, l’organo direttivo nazionale dello sciopero generale che si terrà il novembre successivo, ed è pressoché certo che è merito suo se il diritto di voto attivo e passivo delle donne figura in seconda posizione nell’elenco delle rivendicazioni. 

Il 10 giugno 1918 guida a Zurigo una dimostrazione contro la fame che desta grande scalpore. Alle lavoratrici scese in piazza per protestare si uniscono anche alcune donne borghesi. Dopo il suo discorso, «Rosa la rossa» consegna al Gran Consiglio zurighese una dichiarazione in cui le operaie esigono tra l’altro l’immediata requisizione dei generi alimentari e la loro distribuzione alle famiglie indigenti. Rosa Bloch-Bollag chiede di poter entrare insieme a una delegazione femminile nel palazzo dove si riunisce il Gran Consiglio. La Costituzione cantonale, infatti, riconosce a tutti i cittadini il diritto di esporre i loro problemi direttamente dinanzi al Parlamento. In un primo momento, il Governo zurighese rifiuta di dare loro udienza – sino a quel momento nessuna donna aveva mai parlato dinanzi al Gran Consiglio – ma una settimana più tardi cambia idea e la militante Rosa Bloch-Bollag, l’insegnante Agnes Robmann e l’operaia Marie Härri possono illustrare di persona le loro rivendicazioni dinanzi al Legislativo cantonale. Dopo di loro, le donne prenderanno nuovamente la parola in questo consesso solo nel 1970, dopo l’introduzione del suffragio femminile a livello cantonale. 

Quando, nell’autunno del 1918, il comitato di azione di Olten proclama lo sciopero generale, come presidente della Commissione centrale dell’agitazione femminile Rosa Bloch-Bollag esorta le operaie e le mogli degli operai a prendervi parte attivamente. Le donne rispondono organizzando il vettovagliamento e la custodia dei bambini, partecipando alle assemblee, manifestando e contribuendo ai blocchi dei binari. Mentre negli anni successivi viene dato seguito a gran parte delle rivendicazioni degli scioperanti, le donne dovranno attendere molti decenni per ottenere il diritto di voto e di eleggibilità. 

Finita la Prima guerra mondiale, nel 1921 Rosa Bloch-Bollag aderisce al partito comunista svizzero. Un anno dopo, a soli 42 anni, muore a causa di un intervento mal riuscito alla tiroide. (Crediti: la Commissione federale per le questioni femminili CFQF)

Schweiz. Sozialarchiv F 5008-Fb-001

“(Le lavoratrici) non intendono accontentarsi di articoli di legge o di rimandi al regolamento aziendale, ma attendono che accettiate di incontrarle per l’auspicato colloquio oggi stesso.”

Dichiarazione delle lavoratrici alla manifestazione contro la fame, Zurigo, 10 giugno 1918

 

 

 

 

 

Meta von Salis-Marschlins (1855 – 1929)

Nata in una famiglia aristocratica dei Grigioni, fin da piccola Meta von Salis-Marschlins mal sopporta i dettami che le vengono imposti dalla società e nutre una profonda avversione per gli ambiti lavorativi prettamente femminili. Malgrado le opposizioni incontrate, impara un mestiere e diventa la prima donna svizzero-tedesca a conseguire un dottorato in storia e a chiedere pubblicamente il suffragio femminile. 

Crediti: la Commissione federale per le questioni femminili CFQF

Meta von Salis-Marschlins cresce nel castello di famiglia di Marschlins e già da giovane è consapevole del ruolo al quale la società aristocratica relega il genere femminile. Scriverà più avanti: «Il mio primo passo falso l’ho compiuto venendo al mondo con le sembianze di donna.» Frequenta diversi istituti femminili che la preparano a gestire un’economia domestica. Queste scuole per «l’allevamento di massaie», come lei stessa le definisce, la rendono infelice. «Non solo mio padre, ma quasi tutti gli uomini con cui ho avuto a che fare fino a 24 anni, riservavano alle donne una posizione che trovavo indegna per loro o in ogni caso per me. […] Così, sono diventata grande opponendomi all’uomo.» Malgrado il padre severo le proibisca di studiare – ha ordinato alla moglie di dare a quella figlia appassionata di lettura solo pochi soldi per l’acquisto di libri – Meta von Salis-Marschlins continua a formarsi da autodidatta e inizia a lavorare come educatrice, una delle poche professioni consentite alle donne dei ceti alti. Questa attività la porta a frequentare famiglie benestanti in Germania, Inghilterra e Irlanda, e le permette di acquisire una libertà fondamentale: l’indipendenza economica. 

A questo punto, Meta von Salis-Marschlins può finalmente intraprendere gli agognati studi. Dal 1883 segue i corsi di storia, filosofia e storia dell’arte all’Università di Zurigo e nel 1887, lo stesso anno in cui Emilie Kempin-Spyri diventa la prima donna svizzera a ottenere il titolo di dottore in giurisprudenza, lei diventa la prima donna svizzera a ottenere il titolo di dottore in storia. Nell’ateneo zurighese, tuttavia, le donne sono ancora una minoranza marginale. Nel 1884, scrive in un articolo pubblicato dalla Thurgauer Zeitung: «Nonostante tutto, il movimento è ancora ai nastri di partenza.» Incoraggia le studentesse e ricorda loro che, «siamo pioniere e come i primi coloni nella foresta vergine dobbiamo batterci per conquistare ogni palmo di terra.»

In quel periodo, le neolaureate hanno ben poche possibilità di trovare un impiego. Meta von Salis-Marschlins lavora come giornalista indipendente, scrittrice e conferenziera. Il 1° gennaio 1887, la Zürcher Post pubblica un suo articolo intitolato Ketzerische Neujahrsgedanken einer Frau (propositi eretici di una donna per l’anno nuovo) nel quale rivendica per la prima volta nella Svizzera tedesca la piena uguaglianza delle donne elvetiche incluso il diritto di voto e di eleggibilità. Eloquente oratrice tiene anche discorsi pubblici. Nel 1894, nel quadro del suo ciclo di conferenze intitolato Frauenstimmrecht und die Wahl der Frau (il suffragio femminile e l’elezione della donna) si reca in diverse città svizzere. La sua battaglia ha come obiettivo anche e soprattutto l’uguaglianza delle donne non coniugate. Tra il 1892 e il 1894 desta una certa attenzione il suo intervento pubblico in difesa dell’amica Caroline Farner, femminista e medico zurighese, e di Anna Pfrunder, compagna di vita di quest’ultima. Arrestate e accusate dopo una campagna di odio per presunta appropriazione indebita, le due vengono infine assolte. Ma duramente attaccato da Meta von Salis-Marschlins che lo taccia di parzialità, il giudice che ha perso la causa la accusa a sua volta di diffamazione e la condanna a una pena pecuniaria salata e a sette giorni di carcere. 

In seguito a questa esperienza Meta von Salis-Marschlins si ritira dalla scena pubblica. Nel 1897 pubblica Philosoph und Edelmensch (filosofo ed essere soprannaturale), un libro sulla sua amicizia con il filosofo Friedrich Nietzsche. Sulla questione femminile, tuttavia, non si esprime più. A suo modo di vedere, le donne hanno due possibilità: «supplicare la madre Patria affinché riconosca i loro diritti e tuteli la loro dignità e i loro diritti umani, oppure emigrare». E infatti, da lì a pochi anni, si trasferisce a Capri con l’amica Hedwig Kym con la quale peraltro continua a convivere a Basilea anche dopo che nel 1910 quest’ultima sposa l’avvocato Ernst Feigenwinter. Negli anni successivi Meta von Salis-Marschlins conduce una vita appartata nella città sul Reno e mostra un crescente interesse per le teorie della razza di Joseph Arthur de Gobineau e di altri pensatori conservatori. Malgrado il suo impegno a favore dell’emancipazione femminile, su altre questioni sociali si schiera senza esitazione su posizioni conservatrici, aristocratiche e antidemocratiche. Nel corso della Prima guerra mondiale, le sue convinzioni antisemite e nazionaliste tedesche si rafforzano. Meta von Salis-Marschlins muore nel 1929 e non avrà modo di vedere dove condurranno queste idee alcuni anni più tardi. (Crediti: la Commissione federale per le questioni femminili CFQF).

“Fintanto che l’uomo non riconoscerà la parità di diritti della donna nello stato, che la sua emancipazione non sarà un dato di fatto, lei rimarrà  in balia dei capricci del fato.”

Meta von Salis-Marschlins, discorso pronunciato nel 1894.